di Antonella Agnoli
Il disegno che illustrava il
Manifesto per la cultura del Sole, di cui tanto si è parlato, ci mostra un uomo
di spalle che guarda al di là di un muro stando in piedi sopra una pila di
libri.
Il disegno rafforza il titolo della pagina ?Tutti insieme per
guardare lontano? ma, come a volte accade, l?opera dice più di quanto
l?autore volesse dire.
Ciò che io leggo nel disegno è, innanzitutto, l?opacità di
un mondo del quale non capiamo più nulla: la società è diventata opaca, sempre
più ci sentiamo vittime di forze incontrollabili che modellano il nostro destino
(la globalizzazione, la finanza internazionale, l?Unione Europea)
rinchiudendoci dentro muri cognitivi invalicabili. Ed è abbastanza
paradossale che questo avvenga proprio nel momento in cui, grazie alla rete, ci
illudiamo di poter ottenere istantaneamente qualsiasi informazione sullo schermo
del nostro telefonino.
L?uomo del disegno sembra guardare lontano: è arrivato
a sollevarsi in cima al muro grazie a una pila di libri e mi piace pensare che
sia stato un compito lento e difficile trovare i libri e trovare il modo di
salirci sopra. Forse la scena che vediamo nasconde i molti sforzi precedenti,
innumerevoli fallimenti. Forse la persona che vediamo è un prigioniero e i libri
sono quelli accumulati per molti anni in cella: uno all?anno, per 25 anni. Era
più facile evadere dalla prigione del conte di Montecristo che da quelle mentali
in cui spesso ci autorinchiudiamo.
Mai come oggi arrivare in cima al muro e
capire il mondo che ci circonda è difficile: trovo fantastico che l?artista
abbia saputo dirci con pochi tratti di matita come sia impossibile uscire dalla
nostra cella senza l?aiuto dei libri. In fondo, i libri sono solidi, durevoli e
non hanno bisogno di batteria, quindi ci si può salire sopra, cosa che non
riusciremmo a fare impilando 25 iPad uno sopra l?altro.
Viviamo in tempi di diffidenza, quando non aperta
ostilità, verso i libri. Tra le giovani generazioni serpeggia la pericolosa
illusione di non dover imparare più niente, perché la cultura viene gentilmente
offerta già confezionata sotto forma di pagine Wikipedia. Basta cercarle e
scaricarle e l?italiano sarebbe anch?esso superfluo perché esistono i
correttori ortografici.
Recentemente si é letto della flessione dei
cosiddetti ?lettori forti?, cioè i cittadini che leggono almeno un libro al
mese: nel 2011 sarebbero diminuiti di 723.000 persone, quali sono le
possibili ragioni di questo calo?
Chi sono gli italiani che leggono? Sono
quel ?ceto medio riflessivo? che negli anni scorsi aveva il suo zoccolo duro nel
settore pubblico (insegnanti, docenti universitari, studenti) e nelle
professioni creative (editoria, giornalismo). Sono proprio i settori più
penalizzati negli ultimi anni, che hanno visto crescere la vulnerabilità
economica e sociale di queste categorie.
Un insegnante che ha 1200-1400 euro
al mese per pagare l?affitto, mangiare e vestirsi avrà anche i 15 o 20 euro per
comprarsi un libro? Solo se non ha famiglia: al Nord con queste cifre non si
vive in due (e non parliamo di figli). I consumi voluttuari, e quindi
anche quelli culturali, sono spariti da tempo nelle famiglie monoreddito.
Lo
stesso si potrebbe dire per gli studenti o i giovani precari che riescono a
mettere insieme 7-800 euro al mese: non c?è spazio per acquisti di libri o
giornali e non a caso c?è stata una forte reazione proprio da parte di
queste categorie alla legge sul prezzo fisso del libro, che limita gli sconti al
15 %.
Ciò che dobbiamo capire oggi è che l?impoverimento economico porta con sé anche isolamento sociale (ci si vergogna di non poter più fare molte delle cose che si facevano prima, se si perde il lavoro si perdono anche gli amici) e impoverimento culturale (non si va al cinema, non si comprano libri, non si leggono giornali). Tutto questo provoca un chiudersi in se stessi, un rifiuto progressivo dei diritti/doveri della cittadinanza: la vulnerabilità porta con sé risentimento e rabbia verso ciò che esiste di più visibile del mondo esterno, le istituzioni. Poiché non sapremmo come prendercela con i ?mercati? coltiviamo il rancore verso il governo, i politici, gli amministratori locali, i sindacalisti. Tutti i diversi da noi diventano dei ?privilegiati?
Chi ha a cuore non solo le sorti delle biblioteche ma della
democrazia deve capire che occorre contrastare questa deriva pericolosa e c?è un
unico modo per farlo: far partecipare i cittadini.
Dobbiamo rassicurare senza
illudere, coinvolgere per costruire insieme.
La frontiera del nuovo
welfare sta qui. Il problema è come fare e quale ruolo possono giocare le
biblioteche.
Prima di entrare nel merito, però, vorrei chiedere ai
parlamentari in sala, se ce ne sono, come arrivano a varare emendamenti o
leggine a cui manca un requisito fondamentale: il buon senso. Su proposta
dell?ex ministro Brunetta, il parlamento ha approvato martedi un emendamento
secondo il quale tutti i rapporti fra la pubblica amministrazione e i cittadini
dovranno avvenire, entro il 2014, on line.
Mi chiedo cosa ci fosse nella
testa di chi lo ha votato: il 50%, ripeto il CINQUANTA PER CENTO, delle famiglie
italiane non ha internet. Un quarto della popolazione italiana, nel 2014, avrà
più di 65 anni, quindi molto probabilmente non usa il computer se non per
ricevere le foto dei nipoti.
Vorrei ripeterlo per gli amministratori affaccendati per
essere presenti su Twitter o FB: il Italia il 50% della popolazione non ha
accesso alla rete e spesso si tratta proprio di quella parte di popolazione che
ne avrebbe più bisogno per migliorare la loro condizione professionale, o
semplicemente difendere il proprio tenore di vita.
Il luogo dove chi non sa
come usare internet, non possiede un computer o non è in grado di compilare e
spedire un curriculum utile, è la biblioteca. Le biblioteche americane sono
state, in questi tre anni di crisi, ciò che ha salvato milioni di persone dalla
miseria e dall?emarginazione.
Le biblioteche sono un?ancora di salvezza, come
ho scritto nel mio libretto indirizzato ai sindaci, non perché possiedano dei
computer collegati alla rete (in ogni caso ne possiedono troppo pochi ed è
assurdo che alcune chiedano agli utenti di pagare per usarli così come é assurdo
che vietino l?accesso ai social network) ma perché esse sono uno SPAZIO
COMUNE.
Da qualche tempo si parla molto di ?beni comuni?, facendo una gran
confusione tra gli acquedotti e le opere d?arte, fra il museo del cinema e le
piscine comunali. Io penso che sia più utile definire la biblioteca uno spazio
comune, cioè una risorsa a disposizione della comunità. Una risorsa ?aperta?,
non autoreferenziale o gestita nel modo gerarchico e burocratico tipico del
settore pubblico italiano.
Biblioteche come ?piazze del sapere? e una
piazza è uno spazio in cui ci si può incontrare, si possono mettere in comune
risorse, ci si può organizzare. La biblioteca è uno spazio NEUTRALE, quindi un
luogo accogliente, dove domande di cultura e risorse di cultura possono
incontrarsi, dove le domande sociali possono trovare le COMPETENZE necessarie
per realizzarsi.
Voglio sottolineare la neutralità della biblioteca perché
essa è un territorio frequentato da tutti i ceti sociali, da tutte le età, da
tutte le nazionalità. Non è la stessa cosa organizzare un incontro nella sede di
un partito o di una associazione oppure nella biblioteca civica.
La
biblioteca è un luogo dove si incontrano italiani e immigrati, studenti e
professori, casalinghe e pensionati.
Ha una VOCAZIONE a ricevere
tutti su basi di uguaglianza.
Questa caratteristica permette di
mettere insieme competenze diverse: noi bibliotecari non dobbiamo trasformarci
in assistenti sociali ma dobbiamo sapere che i facilitatori e gli operatori dei
servizi sociali hanno competenze che potrebbero essere usate meglio in
biblioteca che altrove. La nostra capacità di trovare informazioni,
ampliare i contesti, dare spessore alla ricerca può essere messa al servizio di
esperimenti di partecipazione che coinvolgano operatori del welfare,
utenti, cittadini. [esempio Sala borsa]
Il welfare tradizionale è in crisi
non solo per il calo di risorse ma anche per la sua struttura burocratica, per i
suoi meccanismi che premiano più chi ha l?abilità di accedere al sistema che chi
ha veramente bisogno. Questo problema va affrontato in termini di apertura e di
rifondazione, due strategie a cui la biblioteca può dare contributi
preziosi.
Un tempo esistevano le sezioni dei partiti di massa che erano
potenti dispositivi di integrazione sociale, la sezione era un luogo di
informazione, di formazione, di convivialità e la sua scomparsa è stata una
grave perdita per la democrazia. Oggi dobbiamo ricreare dei luoghi di
eguaglianza, di informazione, di cooperazione.
Il ?vecchio? welfare ha
essenzialmente due grandi voci: le pensioni e la sanità, il resto sono briciole.
Forse agli amministratori che si propongono di tagliare i fondi alle biblioteche
andrebbe spiegato che chi ha una vita culturale attiva è più sano e vive più a
lungo, come ha dimostrato uno studio norvegese che ha coinvolto oltre
50.000 persone. Andare a teatro, cantare in un coro, leggere storie ai bambini
in biblioteca rendono le persone meno depresse, migliorano la qualità della vita
e le fanno vivere più a lungo. E questo è particolarmente vero per le attività
creative, quindi è meglio suonare il pianoforte che andare semplicemente
al cinema.
Possono sembrare questioni marginali ma non lo sono: in Italia c?è
stato un boom del consumo di psicofarmaci, per gli antidepressivi l?aumento è
del 310% tra il 2000 e il 2008.
Di nuovo: ricordiamoci che nel 2015 un italiano su quattro
avrà più di 65 anni: avere degli anziani attivi, che si mantengono per quanto
possibile in buona salute mentale e fisica è l?unico modo per prevenire
un?esplosione della spesa sanitaria. La biblioteca può essere il luogo dove non
solo si promuovono stili di vita più sani ma anche quello dove si dà un senso
alla giornata di molti pensionati che come unica alternativa avrebbero il bar o
il televisore in salotto. Questi miglioramenti SONO MISURABILI in termini di
minor spesa sanitaria e la Regione dovrebbe pensarci prima di ridurre
ulteriormente i già magri stanziamenti per la cultura.
L?welfare
definisce la natura stessa della democrazia moderna.
A Milano é stata effettuata una ricerca che ha interessato
un campione della popolazione milanese, analizzando la relazione esistente fra
stili di vita e il benessere psicologico individuale, con particolare riguardo
all?accesso culturale, allo scopo di fornire una stima possibile dell?impatto
della partecipazione culturale sulla percezione soggettiva del benessere. La
cultura è nel nostro Paese considerata generalmente ?intrattenimento?,
quindi ricondotta al superfluo. Se assurge a fattore determinante per il
benessere delle persone, seconda solo alla salute fisica e comunque strettamente
a questa correlata, prima delle variabili reddito, età e occupazione,
cambia le prospettive strategiche del welfare.
La salute dipende da come
l?essere umano vive nel suo contesto e come partecipa alla società. La cultura è
una risorsa per la costruzione di occasioni di sviluppo della società e di
prevenzione del disagio,
La biblioteca è un luogo dove affluiscono persone
con risorse culturali molto diverse: fare in modo che queste risorse vengano
almeno parzialmente condivise è una forma di welfare di nuovo tipo, un tentativo
di auto organizzazione della società sempre più necessario.
Questo Nuovo
Welfare si deve porre due obiettivi: uno è l?emergenza, l?aiuto ai cittadini in
difficoltà attraverso la messa in comune di risorse culturali e partecipative,
di cui ho già parlato. L?altro è l?obiettivo di lungo periodo di costruire una
cittadinanza informata e competente.
Gli amministratori che oggi pensano di
tagliare i bilanci delle biblioteche non si rendono conto di stare segando il
ramo su cui sono seduti: non ci possono essere consumi culturali per il museo
del cinema, per i teatri o i concerti se non c?è un?educazione paziente
alla conoscenza e al godimento di questi prodotti. Non saranno i telefonini, e
putroppo neppure la scuola in crisi, a creare gli acquirenti di libri, i
frequentatori di balletto o i visitatori del museo di domani.
I
consumi culturali hanno bisogno di un ecosistema favorevole, continuamente
alimentato da iniziative diverse, da un?offerta ricca e attraente. Possiamo
creare questi nuovi consumatori solo se offriamo ai giovani la possibilità di
entrare in contatto con un?offerta culturale diversa da quella veicolata dalla
televisione o dalle multinazionali della musica.
Una biblioteca che voglia
essere un hub del Nuovo Welfare non può permettersi di stare chiusa, tanto più
nel momento attuale. Eppure i tagli significano un?Italia piena di istituzioni
culturali aperte poche ore la settimana, o addirittura saltuariamente. Da
anni non si assume più nessuno, il che significa un personale mal retribuito,
sempre più anziano, spesso demotivato.
Gli ultimi cinque anni sono stati un incubo per tutti i
valorosi colleghi che ogni giorno fanno molto più del proprio dovere, senza
neppure prospettive di riconoscimento professionale perché l?unico modo per
progredire, negli enti locali, sarebbe fare un concorso da dirigente
abbandonando la biblioteca.
Da qualche anno, a fianco dei lavoratori in
organi sono comparse le cooperative. I dipendenti delle cooperative che
integrano il personale permettendo di aggirare le limitazioni imposte dal
governo alle assunzioni e consentendo la gestione di varie istituzioni
culturali. Le cooperative ottengono l?appalto con il massimo ribasso e costano
poco: ci sono numerosi casi che gridano vendetta, di cooperative che pagano gli
operatori 5 euro netti l?ora o anche meno, o che non pagano il trattamento di
fine rapporto pur avendolo intascato.
Nessuno può amare il proprio lavoro se
la paga è da fame e poi la precarizzazione produce professionalità spesso
modeste perché nessuno decide di investire su se stesso se il rapporto con mondo
produttivo é così labile.
Una biblioteca è fatta del suo personale, molto
prima che delle sue collezioni.
Purtroppo, i manuali di biblioteconomia non
contengono istruzioni su come essere gentili con gli utenti, come aiutare un
pensionato in difficoltà, consolare un bambino che si è sbucciato un ginocchio.
Per far questo abbiamo bisogno di personale giovane (la biblioteca è un lavoro
anche fisicamente faticoso) che abbia l?attenzione al ?cliente? propria del
settore privato, sia disponibile, creativo, entusiasta.
Questo significa che
i bibliotecari da assumere, o quelli che vengono impiegati dalle cooperative,
non vanno valutati solo sulla base dei titoli accademici: occorre disegnare i
concorsi in modo che anche i giovani con competenze psicologiche, informatiche,
giornalistiche, grafiche, artistiche, possano avere una chance: saranno preziosi
per la biblioteca.
Il bibliotecario di cui c?è bisogno oggi è uno che capisce
cosa vuol dire lavorare in un certo contesto sociale, che usa le competenze in
un ruolo di facilitatore, non di ?custode? dei beni culturali.
Oggi la situazione è chiara: nel prossimo futuro non ci
saranno assunzioni nel settore pubblico, nemmeno per sostituire chi va in
pensione. Se non vogliamo che i servizi a cui abbiamo dedicato la nostra intera
vita professionale chiudano (o vadano in malora) dobbiamo non solo fare ricorso
alle cooperative ma anche promuovere l?uso di volontari amici della biblioteca
che ci aiutino. Non ci sono alternative.
Anche la biblioteca più semplice ha
bisogno di due persone per stare aperta e devono essere bibliotecari, se non
altro perché dei volontari potrebbero semplicemente stare a casa la mattina in
cui hanno di meglio da fare.
Ma non tutti gli addetti presenti in loco devono
essere bibliotecari: se vogliamo proporre quelle attività che spesso sono il
vero elemento per attrarre i nuovi cittadini (dalla lettura di storie per i
bambini ai corsi di informatica per gli anziani) abbiamo bisogno di volontari.
Spesso le biblioteche americane ne hanno centinaia e possiamo usarli anche
noi.
A Torino, il progetto Volontari Senior del Comune ha permesso di
inserire circa 80 volontari, selezionati sulla base delle motivazioni e
competenze, a sostegno del lavoro dei bibliotecari ma se ne potrebbero trovare
molti di più.
L?Italia è pinna di pensionati di mente e cervello giovanili
che non si tirerebbero indietro di fronte a una ben organizzata attività di
sostegno per gli studenti deboli in matematica o a corsi di italiano per gli
stranieri, come si fa in molte città. E questo vale anche per le esercitazioni
di scrittura per gli italiani, le consulenze per i consumatori, visite guidate
della biblioteca, vendita di libri o magari corsi per imparare a disporre i
fiori o a riconoscere gli uccelli quando si va in gita in montagna: c?è solo
l?imbarazzo della scelta se si fa appello alla ricchezza di competenze disperse
nella società civile. [2012 é l'anno europeo dell'invecchiamento attivo e della
solidarietà tra generazioni, la sfida è di migliorare le possibilità di
invecchiare restando attivi e di condurre una vita autonoma continuare a
svolgere un ruolo attivo nella società]
Come convincerli? Certo, non è una biblioteca polverosa,
gestita da personale scostante, che invoglierà delle persone a donare il loro
tempo e le loro capacità per rendere la città più vivibile. Occorre che la
biblioteca sia già percepita come uno spazio comune, un punto di incontro, un
luogo amichevole, un?istituzione al servizio della comunità. Se la biblioteca si
apre alla città, la città adotterà la biblioteca e non sarà difficile trovare
aiuto.
Questo non significa assolvere le amministrazioni comunali dalle loro
responsabilità: coinvolgere i cittadini significa anche mobilitarli perché i
comuni riconoscano la necessità di operatori qualificati e ricomincino ad
assumere. Questo può avvenire, però, solo se sapremo convincere la città di
quanto il nuovo welfare passi per nuove biblioteche.
Da questo punto di
vista, il peggior nemico del welfare basato sulla cultura è il sistema
gerarchico e burocratico in cui le biblioteche sono inserite, abbiamo forme
organizzative insostenibili, la PA deve riorganizzarsi e lavorare per progetti
mettendo fine alla separazione verticale tra settori che potrebbero collaborare
fra loro.
Recentemente sono stata a Palermo all?iniziativa sui cantieri
culturali della Zisa, molto parlato di biblioteche, ovviamente diverse da quelle
a cui sono abituati, mi sembra un bel segnale, e forse mai come in questo
momento in tutt?Italia, soprattutto nel sud ci sono molti segnali di forte
interesse per questo particolare idea di servizio, chissà che non sia
proprio la crisi a rilanciare le biblioteche? forse i cittadini mai come di
questi tempi hanno capito che ce ne è bisogno.
Tag: Antonella Agnoli, biblioteche, democrazia, lettura